60 anni di segregazione: la raccapricciante storia delle ragazze meticce nel Congo belga

Per 60 anni sono state in silenzio e hanno nascosto alle loro famiglie le difficoltà che hanno sofferto. Il loro crimine? Essere figlie di un padre bianco e di una madre nera. Nascere meticce negli anni ’40 in Congo, ancora colonizzato dal Belgio, era quasi un crimine.

A soli due o tre anni, queste bambine venivano strappate dai loro genitori per essere inviate in delle missioni gestite da suore a migliaia di chilometri di distanza. Cinque di queste vittime ora hanno fatto causa allo Stato belga per crimini contro l’umanità.

“Siamo state chiamate i figlie del peccato perché l’unione tra l’uomo bianco e una donna di colore non è stata tollerata”, racconta Léa Tavares Munjinga. “Eravamo considerate le bambine della prostituzione, il caffè-latte, avevamo tanti nomi dispregiativi. Piangevamo, eravamo infelici, ma a nessuno importava. Siamo stati escluse. Ci siamo sempre sentite escluse”.

Abbandonate alle milizie congolesi

Né bianche né nere, quelle ragazzine neanche adolescenti non appartenevano a nessuna comunità. Persino durante l’indipendenza del Congo nel 1960 vennero abbandonate. Le suore vennero rimpatriate, ma loro furono lasciate alle milizie che ne hanno abusato.

“Pensavamo che erano venuti a proteggerci e invece la sera queste milizie hanno iniziato a giocare con noi. Così hanno iniziato a raccontarci sciocchezze e ci hanno detto di toglierci i vestiti e aprire le gambe. Ci hanno messo delle candele per mostrarci come le donne partoriscono. Ma noi in quanto bambine non potevamo immaginare”, ricorda Simone Ngalula.

Lo stato belga accusato di crimini contro l’umanità

Nell’aprile 2019 il Primo Ministro dell’epoca Charles Michel si è scusato a nome dello stato. Un gesto insufficiente per le vittime. Il loro avvocato denuncia la creazione di un sistema di rapimento di minori considerabile come crimine contro l’umanità. Il governo non desidera commentare la questione ma l’avvocato delle vittime, Christophe Marchand, intende andare avanti.

“Questa politica sistematica è stata organizzata da decreti emanati da un’istituzione che aveva pianificato di gestire questi rapimenti e per allontanare queste persone dalla loro vita familiare. Perché? Perché avevano paura che, essendo per metà bianche e per metà nere, potevano fare cose che erano contrarie gli interessi del Belgio. Si tratta della politica razziale più sporca che esista”.

Queste donne chiedono ora un risarcimento. Ma con questo processo vogliono recuperare una parte della loro identità che hanno confessato ai loro figli solo di recente.

“Queste sono cose che ci affliggono da sempre ma ora bisogna trovare il coraggio di parlarne, soprattutto ai nostri figli” afferma tra le lacrime Marie-Josée Loshi.

Fonte: Euronews

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